Splendidae mendax ( ovvero sui vini naturali)

Proprio ieri mi è arrivato un invito di Porthos Enologie a partecipare ad un incontro a Milano dal titolo quanto mai chiaro:”I vini naturali”. Io di solito sono piuttosto calmo e tendo a non reagire d’impulso ma adesso questa storia mi ha un po’ seccato (rotto, stancato, alterato, irritato). L’aggettivo “naturale” deriva dal termine “natura” che come da definizione del vocabolario Treccani significa “il sistema totale degli esseri viventi, animali e vegetali, e delle cose inanimate non capisci un tuboche presentano un ordine, realizzano dei tipi e si formano secondo leggi”. Quindi una volta che siamo d’accordo su questa cosa, direi piuttosto inconfutabile, non mi sembra che al prodotto vino possa essere accostato l’aggettivo “naturale”, oltretutto mi sembra che già al vigneto sia impossibile attribuire questo titolo visto che per la sua realizzazione è assolutamente necessaria la mano dell’uomo, quindi se non possiamo chiamare così l’uva non vedo perchè dovremmo farlo col vino che è un prodotto derivato. A questo punto vorrei quindi rivolgere un appello e fare contemporaneamente una minaccia: invito a non aggettivare più il vino come “naturale”, chiamatelo biologico, biodinamico, ultraterreno, spirituale, cosmico, originario, sincretistico, figlio della terra, selvaggio, libero, gaio, etc … insomma usate la fantasia come più vi piace. La minaccia invece è che chi non seguirà questo mite e amichevole consiglio sarà denunciato al Gran Giurì dell’Accademia della Crusca per vilipendio e grave offesa della lingua italiana e per uso e abuso di termini impropri con l’aggravante di concorrenza sleale violenta e continuata a danni di terzi. Non stiamo scherzando e non dite che non vi avevamo avvertito.

Pubblicato da Stefano Berti

vignaiolo

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6 commenti

  1. Gentile Stefano,

    non mia consuetudine intervenire nei blog ma vorrei invitarla a leggere il pezzo di Sandro Sangiorgi sull’aggettivo “naturale” ( http://tinyurl.com/peg2n97 ), solo per capire meglio le posizioni di Porthos a riguardo e confrontarsi sull’argomento, dato che si parte da basi interpretative diverse, nonostante si sia consultata la medesima fonte (vocabolario Treccani).
    Un saluto cordiale,

    Matteo Gallello
    Porthos Edizioni

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  2. Gentile Matteo,le rispondo io ,non perchè voglio prendere le difese di Stefano…è più vecchio di me ,ha più esperienza e più bravo di me.
    Naturale ormai ha stancato non tanto per il suo aspetto ,ma per la sua mancanza di verità associata ad un campo cosi “terribilmente”contagiato dall’uomo.
    Ora visto che Porthos è sempre stata all’avanguardia ….non sarebbe meglio cercare altri sinonimi;si rischia di fare cattiva informazione…come quel signore chiedendomi se era un vino naturale-il mio- si è sentito rispondere che non era naturale ..perchè l’avevo fatto io .
    In romagna spesso si dice “mi ha fatto andare i maroni in giostra” per una cosa che stufa e viene ripetuta …ecco il termine naturale ha un po’ stufato.Sempre con molto rispetto parlando .
    Distinti saluti artificiali 🙂 Gian Paolo
    P.S. visto che i contadini siamo noi e che con la natura ci lavoriamo noi -vedi terremoto ,grandine ,pioggia tromba d’aria etc etc..-“chiedetecelo ” a noi se il naturale ci sta bene??:)

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  3. Gentile Gianpaolo,
    non che ci siano difese da prendere, ci mancherebbe pure… Trovo noioso fare dietrologie iniziando ad argomentare la questione del problema di lingue e linguaggi: si tratta di convenzioni, niente di più, dunque è necessario adattarci alla realtà. Comprendo che l’aggettivo “naturale” – in particolare per voi produttori (e lo sono anche io, nel mio piccolo) – abbia stancato, non ho nessun motivo per impuntarmi. Tuttavia se solo ci si sforzasse di mettere al centro, non la concorrenza tra uomo e natura/ambiente, ma l’assecondare quest’ultima… “Assecondare” come “seguire”, adattarsi (l’uomo) ai tempi (della natura) e per quanto possibile anche ai modi. Potremmo sforzarci per dieci anni non trovando, alla fine, un altro aggettivo per determinare un vino fatto “secondo” natura ma si scontenterebbe sempre, inevitabilmente, qualcuno. Bisogna ripetere la trita e ritrita storia che il vino “naturale” non esiste perché il prodotto della fermentazione del mosto d’uva è, propriamente, l’aceto? Ma quale pazzo sognerebbe di non curare, custodire una massa dopo i sacrifici di un intero anno?
    Per quanto mi riguarda non ci sarebbe nemmeno il bisogno di specificare la naturalità del vino, non concepisco un’altro modo di intenderlo se non questo.
    Non fermiamoci alla convenzione del linguaggio, ripeto, è un dato di fatto incontrovertibile dover trovare sempre la “parola-chiave” giusta. Che non lo sarà mai.
    Un saluto cordiale,

    Matteo Gallello

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    1. io credo che Matteo abbia ragione a dire ” non fermiamoci alla convenzione del linguaggio”, ma purtroppo nel vino la parola “naturale” è troppo manichea e sta creando la lista dei buoni e quella dei cattivi, i vini fatti come Dio comanda e quelli fatti come il produttore comanda, cioè taroccati. Ovviamente non tutti la pensano così, però mi sembra significativo che molti colleghi stiano pensando di passare almeno al biologico solo perchè in questo modo si può aprire qualche spiraglio di vendita in più sul mercato.

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  4. Per quanto, ahimé, vera la netta divisione tra “buoni” e “cattivi” non può essere applicata a persone ma, alpiù, ai vini. Non esistono, per me, vini fatti come Dio comanda, ma solo come il produttore sente e quindi esegue e, quindi, comanda. Non basta dichiararsi naturali né certificarsi biologico e/o biodinamico, né tantomeno realizzare un vino senza solfiti, per garantire la qualità, la quale passa sotto altri fattori: la forma della realizzazione e la sostanza della materia prima sono indivisibili, allo stesso modo la genuinità non basta a fare qualità espressiva.
    Il produttore deve impegnarsi in un’attività nella quale contano, insieme alla tecnica agronomica e a pratiche manuali, capacità di osservazione, anche etica, rispetto, educazione e confronto col pubblico. Il consumatore deve mettersi in gioco, deve imparare a usare i sensi, essere curioso, crearsi un parere, imparare a cogliere la bontà e la sanità del vino, dell’olio, del pane, di un ortaggio.

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    1. Sono d’accordo che il produttore sia il primo a doversi impegnare con tutte le cose che tu dici e io penso immodestamente di averlo sempre fatto pur commettendo sbagli, mi sembra invece che il consumatore si metta poco in gioco e non rischi niente di suo, andando o dove pensa di spendere poco avendo molto, o dove gli dicono le molte “sirene” del mondo del vino in Italia.

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